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Luca Belcastro: "La crescita culturale è la conseguenza di uno scambio, non di una chiusura"

di Silvia Garnero

Especial para Italianos en América

Buenos Aires, 03.07.2007


Belcastro (43) è un compositore italiano nato a Como. Le sue composizioni sono state eseguite in importanti festival in Italia (Settembre Musica di Torino, Milano Musica, Nuova Consonanza di Roma, etc.), in Europa, USA, Cina, Corea e Armenia. Dopo i suoi incontri alla Fondazione CEAMC di Buenos Aires e all'Universidad Nacional del Litoral di Santa Fe, il compositore italiano continua sua esperienza sudamericana in Perú. Prima della sua partenza, abbiamo avuto una intervista per conoscerlo di più:


-- Ho visto che hai testi di autori sudamericani, come ad esempio Neruda. Che cosa ti porta a scegliere la sua poesia?

-- La scelta della poesia di Neruda, oltre che conseguenza di un grande piacere emotivo e estetico, è nata da una necessità. In realtà mi è sempre interessata e piaciuta la cultura e la poesia sudamericana, però per un periodo della mia vita sono stato immerso, attratto dalle ultime poesie dell'italiano Cesare Pavese, molto introspettive e in un certo senso senza speranza... "quello che è stato sarà"... senza colore, in bianco e nero, o meglio grigia.

La mia vita era così: le cose si ripresentavano sempre uguali, con gli stessi meccanismi mentali... e le mie composizioni la rispecchiavano, anche a livello tecnico.

L'esecuzione di una mia partitura orchestrale, "la speranza si torce", mi ha permesso di vedermi dall'esterno... ho avvertito molto forte questo aspetto di autoreferenzialità, il continuo parlare a me stesso. Quindi la necessità di aprirmi al mondo, di comunicare le mie emozioni in maniera differente, si è incontrata con la poesia colorata di Pablo Neruda, molto comunicativa, piena di immagini e passioni. Così è nato il ciclo di composizioni cameristiche "la primavera escondida", con poesie legate alla natura, alla foresta amazzonica, al mare.

Questo è quello che mi piace della letteratura sudamericana, la continua presenza della natura e della passione, il continuo confronto dell'uomo con la propria esistenza, spesso in forte contatto e contrasto con la natura stessa. Così come il lato della passione, dell'amore, della lotta contro le ingiustizie, anche se a volte accompagnata da una serena rassegnazione.


-- Come definiresti la tua opera musicale se la dovessi spiegare ad un pubblico non specializzato?

-- Difficile definirla, e le etichette non mi piacciono, sono solo una comodità. Per me scrivere musica è un modo per comunicare le mie emozioni. L'idea, la necessità, il perché compongo, nasce e ha un doppio legame con la mia vita, i miei interessi. Quindi se io dovessi raccontare a qualcuno quello che è la mia musica, gli dovrei parlare di me, del mio modo di vedere il mondo, anche se questo non dovrebbe essere necessario, perché la musica parla da sé.

Però c'è un problema: per comprendere la musica d'oggi è necessario impossessarsi delle chiavi di lettura, dell'abitudine all'ascolto. Quindi in un primo momento li inviterei ad ascoltarla senza cercare di capire, a lasciarsi trasportare dalle immagini che evoca... con il tempo e l'abitudine l'ascolto potrà essere a un livello più profondo.


-- Sei di una generazione che non sempre ha gusti musicali classici. Da cosa è dipesa la tua scelta per quel genere di musica?

-- Come dicevo prima riguardo all'ascolto, credo sia una questione di formazione e di abitudine. Ho iniziato a suonare da piccolo, grazie ai miei genitori che me lo hanno proposto, nonostante nella mia famiglia non ci fossero musicisti. Questo mi ha fatto scoprire un mondo, che, più conoscevo e studiavo, più mi interessava e piaceva. Ho avuto la fortuna di poter avvicinare la musica da piccolo... vorrei che tutti potessero avere questa opportunità.

Non so come sia organizzata l'educazione musicale di base dei paesi latinoamericani, in Italia le scuole di base semplicemente non la affrontano, la ignorano... così i bambini crescono senza suonare, senza cantare, ascoltando niente più di quello che gli propongono i mass media, che ovviamente hanno un interesse commerciale e non formativo. La possibilità di avvicinare l'arte, in tutti i suoi aspetti, rende curiosi, è stimolante... in poche parole apre la mente.


-- Com'è il tuo processo creativo?... Di cosa ti "nutri"?

-- Ci sono due fasi nel processo compositivo: la fase creativa, che parte da una idea, e la successiva realizzazione tecnica, sempre al servizio di questa idea. Mentre della seconda, quella tecnica, si può parlare senza problemi, per la prima la situazione è più complessa. Vivo nel mondo, in questo mondo globale, dove le influenze sono molteplici, difficili da interpretare. È necessaria una grande sensibilità e apertura mentale, una grande curiosità di conoscere e ampliare i propri orizzonti, una ricerca del nuovo, di ciò che ancora non si conosce.

Il venire in Sudamerica, per me, è come l'apertura nerudiana, una ricerca di nuovi mondi, di colori differenti... un modo per vedere il mio mondo dall'esterno, con occhi diversi.

In Europa, continente ricco, c'è una paura diffusa di tutto quello che viene dall'esterno, se si eccettuano gli USA. La situazione è molto negativa, si chiudono le frontiere, come se tutto quello che viene da fuori, che è diverso, sia un pericolo, chiaramente se non porta ricchezza economica... e la ricchezza culturale? La crescita culturale è la conseguenza di uno scambio, di un confronto, non di una chiusura.

Così sono qui anche per conoscere la realtà musicale sudamericana, contemporanea e non solo... sono sempre stato molto attratto dalle culture tradizionali. Qui avete anticorpi che io non ho, sono qui per accoglierli e portarli con me.

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